Traina con il vivo a puntate 3^ puntata: le esche
Ci vuole poco a comprendere che per la pesca a traina con l’esca viva quest’ultima assume un ruolo fondamentale e sul quale è il caso di soffermarsi in maniera il più possibile completa e approfondita.
Per quanto concerne le esche vive ci sono alcune considerazioni preliminari fondamentali da fare: la conservazione e le esche di zona.
Per quanto concerne la conservazione abbiamo già detto nella puntata precedente quanto sia fondamentale la vasca per l’esca viva con ri-circolo dell’acqua e/o ossigenatore e valvola di scarico per il troppo pieno. Per alcune esche tipo le aguglie sarebbe bene anche che, per non rovinarsi il rostro, la vasca avesse l’interno senza spigoli, il più possibile stondato. Oppure sarebbe bene che la vasca avesse un divisorio interno per mettere due specie di esche diverse.
Per la traina con l’esca viva è importante considerare la territorialità.
Per territorialità intendo (non so se il termine è quello giusto) usare l’esca giusta nel posto giusto. Capita ad esempio di procurarsi un’esca viva e poi andare a calarla in un posto dove quell’esca non è presente. SBAGLIATO!, anzi sbagliatissimo.
I predatori, che sono i pesci che andremo ad insidiare con questo tipo di tecnica predano e mangiano solo ed esclusivamente le prede di zona.
Fatti questi due preamboli fondamentali, passiamo ad esaminare i tipi di esche che solitamente si usano per fare la traina a fondo con esca viva.
Una volta (parlo di 20 anni fa e più) l’esca regina per questo tipo di tecnica era quasi solo l’aguglia. I vecchi pescatori capiranno bene cosa intendo. Quando si decideva di andare a fare l’esca si partiva sempre per cercare le aguglie e ne esistevano anche di enormi.
Poi per un periodo hanno scarseggiato e allora i pescatori si sono “inventati” che l’esca non era più buona. In realtà ce ne erano molte meno e quindi era solo una scusa.
Però questo è servito anche ad ampliare la tecnica. Le aguglie comunque (sempre buone) si facevano con i cucchiani rotanti e da circa 20 anni si fanno invece con i meciuda, filamenti di simil-lana o di vera e propria lana, molto apprezzate dall’aguglia, gran predatore, e sopratutto eschetta artificiale che non rovina il rostro.
Si deve trainare l’esca a 30 /40 metri dalla barca in pochi metri d’acqua e il più possibile vicino a promontori rocciosi o scogliere esterne dei porti.
Si pesca da aprile maggio fino a ottobre a seconda delle zone.
L’innesco dell’aguglia per la traina con l’esca viva si fa di solito con due ami (una volta si faceva anche con tre ami): uno che buca il rostro ed una in corrispondenza dell’orifizio anale, ma di lato e sottopelle.
Altra esca validissima è il sugarello, che si pesca cercandolo con l’ecoscandaglio e solitamente si trova a mezz’acqua in corrispondenza di esche o relitti. Si pesca con i sabiki (anche dette una volta moschette giapponesi) che sono lenze fatte con piccoli ami e piccoli paramenti per ogni amo.
Si mette su di una canna da bolentino il sabiki come terminale con un piombo dai 40 ai 100 gr e si cala sino in fondo poi si recupera lentamente facendo anche movimenti in su e in giù con la canna, fino a che non abboccano. Si pescano tutto l’anno e quindi sono esche jolly.
I cefalopodi anche sono esche ottime specialmente per alcuni predatori da insidiare.
Calamari e seppie sono infatti, sopratutto in alcune zone (vale sempre il discorso della territorialità di cui sopra) esche regine per insidiare rispettivamente ricciole e dentici. Per quanto concerne la pesca a questo tipo di esche esistono molte tecniche molto diverse a seconda delle zone. Ad esempio i calamari in Sardegna si pescano anche di giorno con gli oppai, piccole esche da montare in serie (come i sabiki) e da agitare velocemente recuperando lentamente su profondità variabile dai 15 ai 35 metri su rocce o alghe.
Nel Tirreno centrale continentale, invece, si fanno in pochi metri solo di notte, a trainetta, con la tramontana e i gamberoni rivestiti di seta.
Anche le seppie sono ottime per la traina con l’esca viva e si pescano sotto costa, sulla sabbia in periodi precisi dell’anno a seconda delle zone.
Entrambi questi cefalopodi si innescano con due ami, il trainante sull’estremità anteriore sulla membrana e il pescante in mezzo ai tentacoli sul sifone di cui entrambi sono dotati.
Per la conservazione esistono, invece, delle differenze.
I calamari vivono poco in vasca e spesso si cannibalizzano quindi è bene conservarli al buio e usarli il prima possibile.
Le seppie si conservano tanto e per questo motivo per esempio dalle mie parti (Santa Marinella) i pescatori le pescano e le conservano vive per molti giorni in nasse che calano nel porto per poterle vendere a “noi” pescatori a prezzo esorbitanti!!
Altre esche, a volte molto valide, sono i tombarelli. Questi presentano un serio problema non tanto per la pesca che in certi periodi dalla tarda primavera fino all’autunno è facilissima, quanto per la conservazione vivi. Muoiono subito e quindi bisogna o innescarli immediatamente presi con un amo solo sulla narice, oppure metterli nei TUNA TUBES, degli strumenti in cui il tonnetto si inserisce a testa in giu e gli viene sparata acqua ad alta pressione che li tieni ossigenati sufficientemente.
Il problema, infatti, è proprio di ossigenazione e quindi necessitano di pompe per l’acqua particolari. Altra esca buona è la cavalla, reperibile in alcune zone, molto valida per le grosse ricciole e a volte anche per i tonni. Anche queste esche vanno innescate con un singolo amo. Ci sono alcuni pescatori che in mancanza di esche come quelle elencate innescano qualsiasi cosa.
Piccole ricciole (un peccato ucciderle) lampughette ed altro. In alcuni casi questa strategia si rivela utile. A voi l’ardua sentenza!
Identikit
Sugarello, o come comunemente viene chiamato in altre regioni SURO è un pesce d’acqua marina della famiglia dei Carangidae.
Si trova nell’Oceano Atlantico nord-orientale dall’Islanda al Senegal, comprese le isole del Capo Verde, nel Mar Mediterraneo e raramente nel Mar Nero. Esistono due popolazioni principali: quella occidentale che vive al largo dell’Europa occidentale e la popolazione settentrionale che vive nel Mare del Nord. Si riunisce in grandi banchi nelle acque costiere, dove si nutre di crostacei, cefalopodi e altri pesci. I giovani si riuniscono in branchi sotto l’ombrello di grosse meduse (soprattutto delle specie Rhizostoma pulmo e Cothylorhiza tuberculata) trovando riparo e protezione senza alcun pericolo in quanto immuni dal veleno delle sue nematocisti. Anche altri giovani carangidi, ad esempio la ricciola, hanno lo stesso comportamento.
In cucina
Il sugarello in cucina
La pesca del sugarello di solito propedeutica alla tecnica della traina con l’esca viva, a volte però risulta talmente proficua e divertente che si decide di farli diventare una buona cena.
Ecco come.
Sugarello al cartoccio
Quando è di buone dimensioni si può fare al cartoccio profumato, con ginepro, chiodi di garofano, pepe e noce moscata ce ne vogliono almeno uno a persona da 300 gr. Eviscerate, lavate e asciugate i sugarelli. Tritare finemente l’aglio, la salvia e gli aghi di rosmarino. Salate la cavità ventrale del pesce ed insaporitela bene con il composto di erbe. Disponete ogni pesce su un foglio di alluminio (o carta forno) e spolverizzate con una leggera grattugiata di noce moscata, poi adagiate sul pesce una bacca di ginepro, un chicco di pepe, un chiodino di garofano e due pomodorini privati dei semi e ridotti a filetti.Aggiungere uno spicchio di limone e condite con olio extra vergine di oliva. Chiudete ermeticamente i cartocci e trasferiteli in forno preriscaldato a 180°C per 20 minuti circa. Non leccatevi troppo i baffi. Accompagnatelo con una buona e ricca insalata mista.