A tutto cefalopode
Si fa presto a dire calamaro, ancor più semplice sembra dire seppia, entrambi cefalopodi dalle caratteristiche e dai sistemi di pesca simili, ma al tempo stesso, tanto differenti. E’ possibile orientare l’azione di pesca alla cattura di uno o di entrambi gli esemplari contemporaneamente? La risposta è sì, senza dubbio: proveremo a spiegarvi come diventare dei veri e propri “cacciatori di cefalopodi”.
Due specie diverse appartenenti alla stessa grande famiglia, quella dei cefalopodi. Calamaro e seppia, non amano convivere pur non essendo antagonisti: in vasca del vivo anche i neofiti sanno che non vanno mai lasciati insieme, poiché le seppie eliminano con facilità i calamari, pur non cibandosene.
Con il tempo però, si impara che nelle stesse zone è possibile catturare entrambe le specie ovvero, gestire le attrezzature al fine di far carniere dell’una o dell’altra a piacimento.
STAGIONE E PROFONDITA’
La prima sostanziale differenza che è bene conoscere, andando a pesca di seppie e calamari, è che questi due cefalopodi, occupano lo stesso territorio, solo per un brevissimo arco temporale.
Le seppie iniziano ad accostare infatti nella prima metà di settembre, quando i maschi riproduttori, risalgono le acque più fredde, alla ricerca delle femmine venute fuori dalla schiusa delle uova deposte in marzo. Per tal ragione, gli esemplari più forti e grossi non temono la differenza di temperatura ed affrontano le acque calde per iniziare a marcare il territorio.
I calamari, essendo composti per la quasi totalità del loro corpo di acqua, sono privi di sistemi di termoregolazione e pertanto, durante l’estate, occupano le grandi profondità, tanto maggiori quanto più alto è il termoclino. Per questo motivo iniziano ad accostare con l’arrivo delle prime piogge e con il conseguenziale abbassamento della temperatura dell’acqua. Da qui è facile immaginare che un’azione mirata alla pesca di entrambi gli esemplari avrà un senso con acque più fredde e temperatura meno miti.
L’altro importantissimo aspetto da non tralasciare è che, mentre per le seppie, la ricerca del cibo avviene sia con agguati da mimetismo che con attacchi in mangianza, per i calamari l’attività predatoria si svolge per la quasi totalità in mezzo ai fitti banchi di mangianza di alici, sarde, boghe, sugarelli e sgombri, pertanto la presenza di grosse mangianze in acque di media profondità sarà fondamentale per la ricerca di qualche bella preda da insidiare.
LA PESCA IN SCARROCCIO
La pesca in scarroccio, indubbiamente quella più semplice, avviene in acque che generalmente partono dai 35 metri per arrivare fino ai 15 metri. Ma con acque calde non è raro che pescatori incalliti si cimentino in sessioni di pesca che possono arrivare anche ed oltre i 50 metri di profondità. Generalmente, scelta la zona di pesca si lascia la barca in scarroccio, meglio se con una o due ancore galleggianti, cercando di tenere velocità intorno al mezzo nodo.
Ottenuto il risultato di una lenza prettamente verticale sotto la barca, il terminale per la pesca dei calamari si ottiene generalmente legando con dei nodi “dropper loop” dei moschettoni specifici per totanare direttamente sul leader di fluorocarbon, generalmente 3 o 4, ad una distanza di circa 20 cm l’una dall’altra. A questo terminale, munito di un piombo da 30/50/80 grammi, andremo a fissare direttamente sui moschettoni, le classiche totanare da tataki note come oppai.
Per la sola pesca delle seppie in scarroccio, invece, andremo a montare direttamente sulla lenza madre, un attacco da surfcasting del tipo minitrave, al quale collegheremo direttamente il piombo e sulla girella, un bracciolo da circa 35 cm di fluorocarbon con un classico “gamberone” da seppie. Partendo da questi due semplici terminali, sarà facilissimo realizzare la tecnica mista, dove basterà inserire il minitrave con il bracciolo per le seppie, direttamente al posto del semplice piombo sul terminale da tataki.
Con questo semplice ma geniale accorgimento, potremo scandagliare tutta la colonna d’acqua, alla ricerca di entrambe le prede. Sarà molto importante prestare attenzione all’arrivo del piombo a terra, poiché se si dovesse poggiare tutto il terminale, avremmo più punti di aggancio, con conseguenziale rischio di perdere tutto il calamento.
Numerosi e vari sono i sistemi di pesca a traina per i calamari. La tecnica più antica prevede la realizzazione di una lenza dotata di 10 o 15 piombi da 10 grammi l’uno, distanziati di circa 1 mt l’uno dall’altro con l’inserimento di una girella ogni 3 piombi al fine di scaricare le torsioni. All’estremità di questa lenza, andremo a legare uno spezzone di fluorocarbon con la totanara da traina palettata e con barca che avanza a 2,4 / 2,7 nodi, batteremo la fascia d’acqua dai 16 fino ai 5 metri di profondità. Con questa tecnica, oggi sostituita dall’uso dell’affondatore “dive Planner” e dalle canne da pesca, non sarà difficile dall’imbrunire a notte fonda realizzare carnieri di tutto rispetto.
La pesca delle seppie a traina, invece, non potrà essere effettuata con la stessa attrezzatura né tantomeno con tecnica che consenta la cattura di entrambe le prede. Proveremo pertanto ad utilizzare il terminale precedentemente descritto, munito però di un bracciolo da 60/80 cm. Trainando l’artificiale ad una velocità che raramente supererà lo 0.7 di nodo.
Non appena la canna andrà in piega, ferreremo energicamente, cercando di recuperare la preda senza interruzione: gli artificiali, infatti, non essendo dotati di ardiglione, non consentono errori, specie con la barca in movimento.