Il comparto industriale della nautica da diporto
Siamo giunti a luglio ed è tempo, ormai, di fare i preparativi e di mettere le barche a mare. E’ anche tempo di bilanci, però. Un anno duro per la nautica nostrana e non solo.
Gli anni difficili che abbiamo sulle spalle hanno modificato radicalmente il modo con cui gli utenti ( e di conseguenza i produttori ) si approcciano alla nautica da diporto.
In Italia, certamente, la situazione è meno incoraggiante che in altri paesi, cosiddetti occidentali. Le mosse fatte dal governo, non hanno certo aiutato la nautica italiana. E questo non è un mistero.
I beni “di lusso” , sappiamo, sono guardati con particolare diffidenza e la demagogica bigotta visione delle cose tutta nostrana porta ad ignorare che questo settore è stato ( e sarà a mio modesto avviso ) uno dei fiori all’occhiello del made in Italy.
Non solo. Questo settore ha mosso negli anni scorsi una mole di milioni di euro davvero ragguardevoli, occupando secondo il rapporto censis dell’economia del mare quasi ventimila unità dirette ed all’incirca 90.000 unità indirette se si considera l’intero indotto.
Numeri molto considerevoli, direi. L’industria nautica, infatti, come quasi la totalità dei comparti industriali genera un indotto legato alla subfornitura, che nel caso specifico si traduce in aziende che producono motori, accessori elettronici, impianti, tappezzerie, falegnamerie, etc.
Senza considerare, poi, tutto ciò che ruota intorno al “service” e quindi : marine, cantieri di rimessaggio, porti turistici e affini.
Come si vede, dunque, un settore industriale ( quello della nautica da diporto ) che nonostante la solita populistica e inflazionata opinione, ha sempre rappresentato un forte volano di attività e di ricchezza democraticamente distribuita.