AkesDesign: intervista ad Alessandro Chessa
Un’estetica mai fine a sé stessa, una progettazione orientata all’uso reale dell’imbarcazione e una visione chiara sull’evoluzione dei materiali e dei mercati: in questa intervista Alessandro Chessa di AkesDesign ci racconta il suo approccio progettuale e le sfide affrontate tra fisherman ad alte prestazioni, RIB su misura e soluzioni innovative per una nautica più inclusiva e sostenibile.
A distanza di cinque anni dalla nostra ultima conversazione, abbiamo incontrato nuovamente l’ingegner Alessandro Chessa, fondatore di AkesDesign, per capire come si è evoluto il suo lavoro, quali progetti ha portato avanti e in quali collaborazioni si è immerso.

Parliamo di qualche progetto recente: l’Antudo 23. Quali obiettivi di navigazione si è posto e quali soluzioni ha adottato per garantire prestazioni fluide, stabilità e comfort su questa imbarcazione?
Per la genesi progettuale dell’Antudo 23, è stato fatto uno studio approfondito su ciò che offriva il mercato, sia nazionale che internazionale, finalizzato a implementare le migliori soluzioni possibili in termini di prestazioni, comodità, sicurezza e comfort, e a ottimizzare queste caratteristiche ovunque fosse possibile. Per quanto riguarda la navigazione, l’obiettivo del progetto era creare una carena che restituisse una navigazione il più confortevole possibile sul mosso: molto morbida, facile da guidare, ma anche capace di elevate performance velocistiche.
Ho quindi optato per una geometria a doppio step, che mantiene l’assetto orizzontale e offre un’elevatissima stabilità longitudinale (con riduzione del beccheggio), ruota di prua avanzata, angoli di stellatura piuttosto accentuati e geometrie complesse sulle sezioni, realizzate grazie al controllo numerico. Il battello è molto efficiente sia alle basse velocità che a quelle elevate. I tubolari concorrono alla stabilità trasversale e il feeling in navigazione ha soddisfatto il requisito fondamentale, che era “far sembrare il mare più calmo di quello che è”. Questa filosofia verrà riproposta anche nel prossimo modello, di dimensioni maggiori.

Nell’Ayedayacht EFG 680, quali sono state le scelte progettuali più rilevanti nello sviluppo di questo modello del cantiere turco?
L’EFG 680 doveva essere una barca capace di navigare molto bene sul mare mosso, come un buon fisherman deve fare, ma con una coperta aggiornata al 2025 per quanto riguarda attrezzature ed equipaggiamenti richiesti dal pescatore moderno. Una scelta progettuale fondamentale è stata studiare una carena dotata di elevato deadrise prodiero e generoso flare, per navigare in modo morbido e asciutto anche su mari impegnativi. Questo potrebbe far pensare a consumi elevati e a un’abbondante richiesta di “cavalleria”, ma non è così: la barca naviga a più di 40 nodi con un singolo 200 HP a 4 cilindri ed è stabile da ferma. Il cantiere ha poi fatto un ottimo lavoro sui materiali di allestimento e sulla componentistica elettronica, solitamente appannaggio di mezzi di dimensioni maggiori, avvalendosi anche della consulenza di angler specializzati.

Per la vostra linea Akes invece cosa ci racconta? Quali sono gli ultimi modelli che sta progettando? Ci sono innovazioni apportate, rispetto ai primi modelli di cui abbiamo parlato nel 2021?
La linea Akes viene sviluppata e ampliata da me quando riesco a ritagliarmi il tempo tra i progetti ordinati su commissione. Negli ultimi quattro anni, a causa delle numerose commesse, non ho avuto il tempo di sviluppare nuovi modelli. Ho però finalizzato la progettazione di alcuni modelli che erano in fase embrionale e che a breve saranno naviganti: la lancetta da 18 piedi, il cabinato walkaround T-36 con la poppa abbattibile, l’Hellfire 24 open, un center console in alluminio, e l’Akes 24+, una barca sviluppata sulla base dell’esistente 22WA.
Rispetto a quest’ultima, l’Akes 24+ è leggermente più grande, ma presenta una configurazione di coperta adatta all’utilizzo da parte di persone con disabilità. Il progetto è stato sviluppato in collaborazione con l’armatore, che ha tracciato le linee guida e il layout per poter usufruire della barca “senza barriere”. Cosa che sta facendo con soddisfazione.

Tra i tanti progetti sviluppati negli ultimi anni, ce n’è uno che l’ha stimolata in modo particolare, sia dal punto di vista tecnico che creativo? Cosa l’ha reso così significativo per lei?
Negli ultimi anni ho avuto la fortuna di progettare scafi di tutti i tipi: in plastica HDPE, maxi-RIB in alluminio e vetroresina, motoscafi open, grossi center console, catamarani, landing craft, patrol boat e motovedette. Posso dire di essermi appassionato a tutti questi progetti, che mi sono stati richiesti con requisiti molto in linea con la mia filosofia progettuale. Non potrei citarne solo uno in particolare, ma alcuni sono stati certamente più complessi e hanno costituito delle vere sfide.
Posso menzionarne alcuni, come l’Advance Artemis, un RIB di 11,5 metri con elementi creativi davvero particolari, o la recente e non facile trasformazione della configurazione di coperta sul Bayamo 9.9 “Bespoke”, riprogettato e modificato a partire dal battello esistente sulla base dei requisiti dell’armatore. E poi una serie di barche, tra cui un maxi RIB, un catamarano da 50 piedi e un center console di 15 metri per un cantiere americano, dove è stata “tirata al limite” la capacità realizzativa in alluminio, per poter adottare forme estetiche molto complesse e ultramoderne. Il plus di difficoltà è stato coniugare queste forme con opere vive (quad-stepped) e strutture adatte all’oceano, che garantissero prestazioni velocistiche degne del miglior Haulover Inlet, ovvero oltre 80 nodi su un mare mai piatto.
Quali sono i mercati esteri più interessanti per AkesDesign, e quali differenze riscontra nel modo di progettare per clienti italiani rispetto a quelli internazionali?
Nei Paesi che si affacciano sul Mediterraneo, non solo europei, generalmente i layout richiesti sono abbastanza simili, con barche e gommoni open o day cruiser, principalmente fuoribordo, a farla da padrone. Un po’ “ibrido” il mercato statunitense, con richiesta di mezzi aperti, design molto moderno, ma generalmente più motorizzati e sempre attrezzati per la pesca. Diverse sono le richieste per le zone nordamericane fredde, dove si prediligono progetti meno orientati all’estetica e più alla robustezza, ancora più dedicati alle capacità fishing.
Discorso a parte per l’approccio progettuale in Australia: alluminio di spessori elevati, robustezza ben oltre il necessario, criteri “old school” che privilegiano la costruzione di piccole corazzate piuttosto che l’efficienza nei consumi o nei costi. Il mare è infestato da squali, sempre agitato, e nulla si deve rompere. L’estetica è piuttosto lontana dai gusti “mediterranei”: pochi fronzoli anche nelle linee, quindi barche ben proporzionate, funzionali, ma non modaiole. In tutti questi casi l’approccio della clientela è generalmente collaborativo, grazie all’esperienza dei cantieri e alla tradizione marinara alle spalle.
Diverso il modus operandi richiesto dai cantieri in Cina, non tanto a livello di layout o estetica, per cui concedono carta bianca (cosa che dà parecchia soddisfazione), quanto nelle modalità di sviluppo del progetto, che deve poter essere eseguito alla lettera e lasciare meno spazio possibile all’interpretazione.
Quanto incide oggi la sperimentazione stilistica sul successo di un modello, e come riesce a bilanciare funzionalità marinaresca ed estetica contemporanea?
La sperimentazione stilistica è fondamentale e il design nautico, sulla scia di quello automobilistico, ha compiuto passi da gigante negli ultimi anni. Oggi è difficile che i cantieri più blasonati in Europa presentino nuove proposte esteticamente banali. Tuttavia, la sperimentazione estetica deve andare di pari passo con la funzionalità.
Non vedo grandi sviluppi nella tendenza a cercare forme “a effetto”, se queste non hanno un fondamento tecnico o funzionale, e anzi possono essere potenzialmente pericolose per la sicurezza. Peggio ancora se l’intera progettazione di una barca è finalizzata a seguire forme modaiole che col mare non vanno d’accordo. Nel primo caso si possono citare geometrie come le prue rovesce, non ideali su barche plananti e anche pericolose ad alta velocità. Nel secondo, l’ultima stravaganza di “nauticizzare” le autovetture dà vita a scafi capaci di attirare l’attenzione, ma non realmente fruibili come mezzi nautici. Una volta terminato l’effetto sorpresa, difficilmente sono riproponibili.
Per quanto riguarda me e AkesDesign, l’ispirazione delle forme può discendere anche da settori non prettamente nautici, ma il difficile è renderle funzionali per la barca. E questo richiede non solo know-how tecnico, ma anche esperienza sul campo. Ecco perché l’intelligenza artificiale o gli algoritmi non possono sostituire l’uomo nella progettazione nautica, ma solo offrire un aiuto.
Materiali come HDPE, alluminio e compositi avanzati sono sempre più protagonisti nei progetti. Quali tendenze sta osservando nel rapporto tra sostenibilità, facilità di produzione e prestazioni?
Materiali riciclabili, e che soprattutto non richiedono la realizzazione di modelli a perdere da smaltire, come l’alluminio, continuano a diffondersi e a guadagnare quote di mercato, in un settore dove la customizzazione e la realizzazione su misura non potrà che crescere, erodendo il ruolo delle produzioni di grande serie. Queste ultime, comunque, manterranno la leadership numerica almeno nel breve termine e continueranno a essere la scelta obbligata per i cantieri più grandi.
Altri materiali, come l’HDPE, non hanno ancora “spiccato il volo” perché tuttora difficili da maneggiare, sia dal punto di vista progettuale che costruttivo, sebbene dotati di grandi potenzialità. Sono ancora laboriosi da lavorare quando si vogliono raggiungere standard estetici elevati. Sulla vetroresina, invece, si stanno facendo buoni progressi nella ricerca di fibre meno inquinanti. C’è grande attenzione al tema della sostenibilità da parte dei costruttori, ma questa per ora non ha avuto ricadute significative in termini di cultura di massa, né effetti tangibili sul piano istituzionale (ad esempio, in termini di accessi alle aree marine protette o aggiornamenti alle restrizioni legislative). La nautica, che già non vive un momento di massima popolarità, rischia così di diventare un circolo chiuso e di non essere percepita come attività sostenibile, e quindi meritevole di investimenti e risorse.
ALESSANDRO CHESSA – AKESDESIGN
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