La produzione snella e la riduzione degli sprechi nella cantieristica
La Nautica da Diporto, come abbiamo avuto più volte modo di osservare, sta crescendo – nonostante la congiuntura internazionale – più che in termini di volumi di produzione, nel senso di una tendenza a passare da un sistema di produzione artigianale (o semi artigianale) verso sistemi produttivi industriali.
Questo step, è di fondamentale importanza se si vuole rimanere nell’alveo delle realtà più competitive che generano un buon prodotto di qualità, senza ‘sprecare’ risorse (di mano d’opera e di materia prima) e – al contempo – producendo un equo utile aziendale che oltre a permettere il fisiologico sostentamento, ne facilita anche la naturale evoluzione.
Molto spesso, tuttavia, accade che nonostante vi sia una forte volontà di crescita non si riescano ad ottenere i risultati (in termini di resa) sperati. Per quello che possono valere le mie osservazioni, infatti, nel mio percorso di consulenza industriale noto che – sovente – diverse strutture aziendali si accorgono di dover colmare un certo ‘gap’ (per poter andare avanti nel migliore dei modi), ma non hanno ancora ben individuato la strada da percorrere.
Altre volte, invece, si ha il convincimento che ricorrendo ad una tecnologia più avanzata (rispetto a quello che può essere uno spray-up o una formatura a stampo aperto) si possano automaticamente risolvere tutti i problemi. Così non è. La questione, difatti, non si incentra nell’individuare la tecnologia hi-tech (piuttosto che i macchinari più costosi), o il robot programmabile più innovativo. Il discorso, più semplicemente, sta tutto nel trovare un corretto sistema di gestione della produzione, che consenta di ridurre le criticità e di ottimizzare le condizioni al contorno del ‘sistema produttivo’.
Ma partiamo dall’inizio.
Come si definisce un sistema di produzione? Quanti tipi ne esistono? E soprattutto: Qual è la strada giusta che un cantiere deve intraprendere per poter offrire al cliente un prodotto di qualità pregevole, conservando comunque i giusti profitti aziendali?
Fatte queste premesse, cominciamo col dire che, per definizione, un processo di produzione industriale è l’insieme delle fasi di lavoro che hanno come scopo quello di realizzare un prodotto finito (che può essere a sua volta composto da due o più semi-lavorati) mediante l’utilizzo di utensili, e/o macchinari, e/o fluidi attivi.
Nel caso specifico della produzione di un’imbarcazione, uno stabilimento di costruzione navale articolerà il proprio sistema produttivo (generalmente) nel seguente modo:
a) Trasformazione della materia prima ( fibra, resina, legno, materiali d’anima, etc.) in una serie di semilavorati che costituiscono le varie scocche componenti. La scocca dello scafo, infatti, è a sua volta composta da una serie di scocche. Nello specifico, avremo: la carena, il ponte di coperta, l’eventuale soprastruttura, l’eventuale modulo delle cabine interni, i particolari ( divani, sedute, roll-bar, paioli, cassero di guida, etc.)
b) Assemblaggio delle scocche attraverso un sistema di incollaggio/saldatura/assiemaggio in un unico corpo solidale (dopo che le singole scocche sono state ‘pulite’ dalle bave perimetrali attraverso un processo di rifilatura ed eventuale foratura).
c) Installazione degli impianti di bordo sulla scocca, laddove per impianti si intendono – principalmente- quello elettrico, idrico-sanitario, e l’ impianto motori
d) Allestimento degli arredi dell’imbarcazione
e) Montaggio degli accessori finali( dall’acciaieria, ai vetri, dall’elettronica di bordo, al teak sui camminamenti).
Viene di conseguenza, che produrre un’imbarcazione non è un’operazione semplice, in quanto bisogna ‘costruire’ una vera e propria catena di trasformazione, la quale (per realizzare un bene così complesso e sofisticato come può essere un’imbarcazione finita) può partire da una materia prima lontanissima dal quello che poi sarà il prodotto e che – nel caso in questione – addirittura può trovarsi allo stato liquido (come ad esempio la resina)!
A questo punto, è naturale che per organizzare bene la produzione di un’imbarcazione bisogna predisporre in maniera assolutamente razionale le singole fasi e sottofasi di lavoro, nonché concatenarle fra loro in maniera perfettamente sincronizzata con l’obiettivo di non avere la minima inefficienza.
E’ quasi ovvio, infatti, che una singola inefficienza riscontrabile su ognuna delle macrofasi di cui sopra, comporta un abbassamento della resa aziendale notevole in quanto è il risultato della sommatoria di ben cinque inefficienze di sistema.
Questo discorso potrebbe sembrare astratto, ma in realtà è molto concreto e tangibile.
Basta trascorrere una giornata in un unico reparto per capire quante cose potrebbero essere migliorate in termini di catena produttiva, piuttosto che di ottimizzazione di processo riducendo tutti gli sprechi possibili sia in termini di mano d’opera ( e quindi di ore di lavoro regolarmente retribuite agli operatori, ma non produttive) che in termini di materiali ( e qui mi riferisco alla materia prima, ma anche alle decine di materiali di consumo che si adottano nei cantieri: dischi per la carteggiatura, rulli, pennelli, mascherine, guanti, etc.).
Ma esempi concreti di spreco…Quali sono?
Molteplici e svariati. Ne citerò alcuni fra i più ovvi e comuni che si ritrovano in maniera trasversale un po’ dappertutto.
Uno stampo sporco, ad esempio. Ho calcolato per un mio cliente l’incidenza della mano d’opera delle squadre di lavoro che preparavano gli stampi per la gelcottatura. Uno stampo ‘abbandonato’ dopo l’operazione di sformo, senza alcuna accortezza o protezione richiedeva l’80% del lavoro in più rispetto allo stesso stampo che era stato protetto dopo l’operazione di demoulding. Spesso, quando trovo situazioni del genere, mi viene detto che è la ‘prima volta’ che vengono lasciati gli stampi senza alcuna protezione oppure che ‘non c’e’ stato tempo per proteggerli.
Non è vero. Il tempo è sempre lo stesso. Otto ore lavorative per cinque giorni feriali. Il problema è la cattiva gestione del tempo, non la mancanza di quest’ultimo.
Secondo esempio. Quanti cantieri hanno un magazzino perfettamente organizzato dove è possibile reperire con facilità tutti i materiali di cui si ha bisogno nel ‘momento giusto’? Quante volte capita che un particolare tipo di materia prima non si trova perché è stata consumata e non c’è stato un feedback per un riordino tempestivo? Quante volte si adoperano resine o gelcoat che rasentano la data di scadenza perché non ordinati nelle quantità strettamente necessarie per una data commessa?
Tutti questi sono esempi di ‘spreco’, e quindi di ‘inefficienze di sistema’.
Terza serie di esempi molto comunemente riscontrabili. Sovente mi capita di osservare che le quantità di sfrido delle materie prime risultano essere superiori rispetto a quella che è una soglia fisiologica. Questo può capitare per le resine (residui consistenti di resine catalizzate per un errato uso dell’indurente), per i materiali d’anima ( sfridi di termanto dovuti ad un taglio non ottimizzato), oppure per le bave di rifilatura in VTR ( perché non lasciare una bava minima?
Spesso, si trovano sfridi di bave che hanno una larghezza di 15-18 cm). Ecco: questi sono esempi di un duplice spreco. In primis per la materia prima che non produce fatturato ( non essendo adoperata sul prodotto finito), in secundis per l’esborso economico legato al loro smaltimento del rifiuto. In tutti i cantieri di produzione, infatti, la gestione dei rifiuti è un problema delicatissimo (anche sotto l’ aspetto economico) e pertanto è bene ‘smaltire’ solo ciò che è strettamente necessario…(continua nel prossimo editoriale di marzo).