Lo smaltimento delle imbarcazioni al termine della vita utile
Cosa succede alle imbarcazioni alla fine della loro vita utile? Molte persone, spesso, mi pongono questa domanda… e soprattutto … Qual è la vita utile di un’imbarcazione?
Beh, in realtà, entrambi gli interrogativi richiederebbero delle risposte ben più articolate rispetto a quanto possibile sviscerare in un editoriale di un paio di pagine, ma noi cercheremo comunque di fornire al lettore qualche input.
A tal riguardo, cominciamo col dire che in Europa esiste una specifica Direttiva (la “2008/98/CE”) che stabilisce un quadro giuridico per il trattamento dei rifiuti volto a proteggere l’ambiente e la salute umana.
Come molti sanno, le imbarcazioni da diporto (e non solo esse!) sono realizzate dalla maggioranza dei cantieri nautici con un mix di materiali che viene volgarmente definito vetroresina, ma che in realtà è cosa più complessa rispetto a quanto si possa immaginare.
Questo “miscuglio” di materie prime, infatti, è l’integrazione di due o più fasi, ognuna delle quali concorre a conferire parte di quelle incredibili caratteristiche che si riconoscono ai Compositi (la grande classe di materiali a cui appartiene la vetroresina), ossia: la leggerezza, la resistenza, la durabilità.
Le fibre di vetro conferiscono, infatti, la resistenza meccanica, mentre le resine sono deputate a tenere insieme le fibre e a trasferire i carichi meccanici. In realtà, oltre a queste due fasi principali, sovente i progettisti inseriscono altri tipi di inserti come legni, metalli, o schiume di materiali espansi deputate ad aumentare la rigidezza e contestualmente a isolare termo-acusticamente i laminati. Quindi, ne consegue che ogni imbarcazione è costituita da un numero di materiali diversi assemblati fra di loro. Non è semplice, pertanto, il discorso di come affrontarne il “fine vita”.
Innanzitutto, come è facile immaginare, una barca ha una vita utile (fortunatamente) molto più lunga rispetto ad altri mezzi di trasporto come possono essere, ad esempio, le automobili.
Non è semplice fornire delle regole valide a livello generale, ma si può assumere che rispetto ad una vettura il tempo di vita utile di un’imbarcazione possa essere superiore di circa quattro volte.
Ne consegue che, un natante di nuova costruzione sarà destinato a superare agevolmente la soglia del terzo decennio di vita e probabilmente, se ben tenuto, arriverà anche alle soglie del quarto decennio. Ciò posto, come anticipavamo, è sempre più stringente il tema dello smaltimento/riciclo di questi oggetti alla fine della loro onorata carriera.
Si consideri che solo in Italia, escludendo le barche inferiori ai dieci metri, abbiamo oltre 100.000 imbarcazioni immatricolate, di cui almeno 90.000 sono costruite in VTR. All’interno di queste ultime, il 30 % circa è da considerare inefficiente e, quindi, teoricamente da smaltire.
Per il mondo del diporto, questo problema è molto più difficile da affrontare e gestire rispetto a tanti altri settori industriali laddove (giusto per fare un esempio) il riciclo di materiali come i metalli è, ormai, un processo tecnologico consolidato ed anche economicamente vantaggioso.
Nel caso dei compositi non è per nulla agevole poiché (a differenza dei metalli o delle plastiche comuni) non è possibile “fondere” la vetroresina e portarla a nuova vita con un processo, appunto, di fusione.
Le resine che costituiscono le barche, difatti, vengono definite “Termoindurenti” poiché (a differenza dei polimeri utilizzati per realizzare, ad esempio, contenitori in plastica) il calore non produce come effetto il loro “rammollimento” e la conseguente possibilità di termoformare nuovamente.
A tal riguardo e sulla scorta delle direttive europee in vigore dallo scorso 2008, nell’ultimo decennio, questo problema sta diventando un piccolo volano per un’economia che inizia a svilupparsi intorno ad aziende specializzate nella demolizione delle imbarcazioni. Queste ultime, partono proprio dal concetto che una barca è un oggetto estremamente complesso costituito da decine, se non centinaia, di parti diverse.
Con una laboriosa e paziente opera, si inizia con lo smantellare tutti i prodotti metallici come i serbatoi, le battagliole e i motori.
Si procede col separare gli arredi, le parti in legno e le strumentazioni elettroniche.
Una volta smantellata e disassemblata per intero, rimane il discorso della scocca di vetroresina.
Si consideri che un’imbarcazione di 50/60 piedi può arrivare a pesare circa quattro o cinque tonnellate. Chiaramente questo valore è puramente indicativo: molto dipende dal tipo di barca, ma l’ordine di grandezza di alcune tonnellate di VTR da smaltire non si allontana significativamente dalla realtà.
Oggigiorno, nonostante i numerosi studi promossi al riguardo, non esistono ancora tecnologie di smaltimento efficienti al 100% ed economicamente vantaggiose. Una delle pochissime tecnologie a disposizione è la pirolisi (ossia la decomposizione della materia attraverso un impegnativo trattamento termico) dalla quale si ottengono gas sintetici e residui solidi che possono essere utilizzati come riempitivi per altri tipi di costruzioni.
Purtroppo, ad oggi, la “pirolisi non ossidativa” è ancora un processo molto dispendioso economicamente, in quanto le energie in gioco per ottenere la decomposizione del VTR sono ingenti (si richiedono temperature di esercizio prossime ai 700/800 ° C). Ciò posto, il problema del fine vita delle imbarcazioni va affrontato molto seriamente e con coscienza non solo da chi è già un armatore ma anche da chi lo è per la prima volta.
Oggigiorno chi abbandona un’imbarcazione o la affonda deliberatamente compie un atto veramente ignobile poiché siamo tutti consapevoli che viviamo in un’epoca dove le risorse scarseggiano sempre di più e non si può più essere superficiali con i problemi di natura ambientale.